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PINACOTECA, DUE GRANDI RITORNI

28 Agosto 2006

Sono nuovamente visibili al pubblico l’“Annunciazione” di Biagio D’Antonio e la “Grande Macelleria” di Felice Boselli
Le sale della Pinacoteca comunale (via S.Maria dell’Angelo, 9) riabbracciano due grandi dipinti: sono, infatti, nuovamente visibili al pubblico l’“Annunciazione” di Biagio D’Antonio e la “Grande Macelleria” di Felice Boselli.
Il capolavoro dell’artista fiorentino, realizzato nel 1475 circa e dedicato all’Annunciazione, soggetto molto importante nella storia dell’Arte italiana ma presente solo con questo quadro nel percorso espositivo della nostra Pinacoteca, è stata esposto nella sala Donatello, al fianco della pala delle Micheline, ovvero la tavola con la “Madonna in trono col Bambino e i Santi Michele Arcangelo e Giacomo”, realizzata da Marco Palmezzano tra il 1497 e il 1450. L’opera era conservata, per mancanza di spazi, nei depositi della Pinacoteca.
Invece, la “Grande Macelleria” di Felice Boselli è ritornata in Pinacoteca al termine del restauro realizzato da Domenica Manfredi, restauratrice della Pinacoteca. Il capolavoro è stato inserito nel percorso della mostra dedicata alla “Pittura di natura morta del XVII e XVIII secolo nelle collezioni della Pinacoteca Comunale di Faenza”, aperta fino al prossimo 1° ottobre.
Proveniente dalla Parrocchia di Fossolo, attualmente dedicata a San Pietro ma in origine un oratorio situato nelle proprietà terriere dei Manfredi e consacrato alla Beata Vergine Annunziata, il quadro dell’“Annunciazione” entrò nelle collezioni della Pinacoteca, in seguito ad acquisto, nel 1887.
Probabile coronamento di un polittico, la lunetta è datata da Roberta Bartoli, autrice della più recente e complessiva monografia su Biagio D’Antonio, al 1475 circa, quando Biagio realizzò a Faenza la Pala Ragnoli, ora custodita a Tulsa (Oklaoma). L'annunciazione, in cui l'arcangelo Gabriele preannuncia alla Vergine Maria che sarebbe diventata la madre di Cristo, era un tema sentito nella pittura fiorentina e Biagio D’Antonio riprende la tradizione già dall’uso della luce diffusa che uniforma i volumi e che richiama le prime elaborazioni del Beato Angelico. La composizione è per molti versi assai simile alla tavola che Leonardo da Vinci realizzò, probabilmente, tra il 1472 e il 1475 e si ricollega alla comune giovanile attività dei due artisti nella bottega del Verrocchio.
Per quanto riguarda invece il dipinto della “Grande Macelleria” di Felice Boselli, siamo in presenza di una “summa” della produzione di questo autore che assimila la tradizione antica e coeva della pittura di Natura morta in terra padana, rivisitata con un’attenzione onnivora, ma acutamente selettiva. Pare si collochi, cronologicamente, nel momento di maggiore maturità della sua attività: forse attorno al 1720. Boselli sembra chiamare a raccolta ed ostentare un’antologia di motivi (le carni squartate ed esibite nella loro nuda fisicità in pose cadaveriche, le teste di animali ghignanti ed ammiccanti, il gatto luciferino che insidia la merce) che sono altrettante autocitazioni di opere più o meno lontane nel tempo. Ironico e allusivo il dialogo, fatto più di cenni che di parole, fra il macellaio bonario e accomodantee la vecchia diffidente e arcigna: questa, poi, sembra fare tutt’uno con l’ammasso delle carni, con un sottointeso quasi macabro, sottolineato dalla testa sogghignante del maiale posto sulla stessa diagonale. Certo è che in Boselli trova espressione schietta uno dei caratteri secolari della cultura “padana”: l’adesione quasi fisica ad una realtà quotidiana indagata nei suoi aspetti meno forbiti e più densi della vita.