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CAPOLAVORI FAENTINI IN TRASFERTA

22 Settembre 2006

Opere della Pinacoteca e della Biblioteca sono esposte nelle mostre dedicate ad Andrea Mantegna a Mantova e Verona
Due importanti opere di istituzioni culturali faentine, appartenenti una alla Pinacoteca comunale e l’altra alla Biblioteca comunale, sono esposte in questi giorni nelle mostre dedicate ad Andrea Mantegna.
La Pinacoteca ha concesso in prestito il S. Girolamo, la scultura in legno policromo di Donatello, mentre la Biblioteca il codice di Felice Feliciano, Sylloge inscriptionum latinarum veterum.
Esposta alla mostra “La scultura al tempo di Andrea Mantegna tra classicismo e naturalismo” presso il castello di San Giorgio, a Mantova, il S.Girolamo di Donatello è sicuramente uno dei capolavori più importanti e significativi della Pinacoteca comunale, tanto che è utilizzato come logo identificativo della istituzione culturale faentina.
La statua lignea, a tutto tondo, policromata, alta circa 140 centimetri, dovrebbe essere stata concepita dal Donatello ed eseguita sotto il suo diretto controllo verso il 1457. Proveniente dalla chiesa di S.Girolamo dell’Osservanza, chiesa di patronato dei principi Manfredi, uno dei quali (forse Astorgio II) l’avrebbe fatta eseguire in omaggio al Santo prediletto, la statua è entrata nelle collezioni comunali in seguito alle soppressioni conventuali del 1866.
Nella sezione “Architettura e antiquaria” della mostra ospitata nel Palazzo della Gran Guardia a Verona “Andrea Mantegna e le arti a Verona, 1450-1500”, sono invece esposte diverse opere dell’umanista veronese Felice Feliciano (1433-1479ca), fra cui spicca la Sylloge inscriptionum latinarum veterum, manoscritto conservato presso la Biblioteca comunale di Faenza.
Il Feliciano, personaggio poco conosciuto al grande pubblico, fu in realtà uno dei più grandi umanisti italiani del XV secolo, soprattutto per quanto concerne lo studio dell’antiquaria e dell’epigrafia romana. Fu autore di un celeberrimo Alphabetum Romanum, in cui disegnò ed esplicò le lettere dell’alfabeto latino che, in un certo senso, segna la rinascita della scrittura lapidaria romana in età umanistica. Intrattenne relazioni con i più stimati eruditi del periodo e fu amico con lo stesso Mantegna, tanto che la ridondanza di citazioni classicheggianti riscontrabile nell’opera del pittore padovano deriva in parte dall’influsso del Feliciano. Il manoscritto della Biblioteca di Faenza fu a suo tempo studiato da Augusto Campana, che lo definì «uno dei prodotti più interessanti dell’attività epigrafica e scrittoria e anche minatoria o disegnatoria del Feliciano».
Dalle dimensioni assai ridotte (16,4 x 12,2 cm.), originariamente composto di 131 carte, risulta essere in gran parte autografo del Feliciano e riproduce iscrizioni romane provenienti dal Veneto e da altre regioni italiane. Non si sa come il codice sia giunto nella biblioteca faentina, anche perché la perdita della legatura originaria e delle prime pagine impedisce la lettura di eventuali segni di appartenenza a raccolte monastiche cittadine, anche se occorre tenere presente come il Campana ritenesse certa una primitiva provenienza bolognese.