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Alteo Dolcini, il ricordo, in nome della ceramica, di un concittadino illustre

26 Maggio 2014

Lo scorso 9 maggio si è svolta la traslazione dal cimitero di Pergola all’ossario del Famedio nel Cimitero Monumentale di Faenza della salma di Alteo Dolcini, forlimpopolese di nascita, ma di fatto a tutto titolo faentino di adozione e la cui memoria trova oggi adeguata collocazione a fianco di quei ceramisti illustri (Carlo Zauli, Domenico Rambelli o il direttore del Mic Giuseppe Liverani), ai quali Alteo Dolcini (per tutti il “dott. Dolcini”), nella sua qualità di segretario comunale dal 1963 al 1988, ha dedicato, con risultati importantissimi, oggi in parte dimenticati, il massimo impegno. Da mercoledì 28 maggio, completata l’iscrizione sulla lapide a cura del Comune di Faenza e dell’Associazione “Alteo Dolcini”, sarà possibile visitare la tomba.

 

Alteo Dolcini, 1978, Estate Ceramica a Faenza

Alteo Dolcini è stato, da metà degli anni ‘60 alla fine degli anni ‘80, l’animatore delle principali iniziative sul territorio per la valorizzazione della ceramica artistica e della enogastronomia faentina e romagnola in generale, per la promozione di quella che oggi viene definita “l’identità del territorio”.

Ideatore ed animatore della Società del Passatore e della 100 Km, dell’Ente Tutela Vini e del riconoscimento dei marchi Doc e Docg ai vini romagnoli, l’eclettica creatività del dott. Dolcini trovò in quegli anni d’oro il massimo risultato nella promozione della ceramica, con l’avvio di iniziative di aggregazione e promozione ancora oggi fondamentali, quali l’Ente Ceramica ed il Mondial Tornianti. Fra tutte le sue idee, la più complessa e che ancora oggi ottiene importanti risultati a livello nazionale è quella della ideazione, costruzione ed approvazione della Legge 188 del 1990, o Legge sulla tutela e promozione della Ceramica Artistica Tradizionale. Ed è per omaggiare questo percorso che il sen. Stefano Collina, in particolare nella sua qualità di storico presidente, da oltre dieci anni, dell’Associazione Italiana Città della Ceramica, ha voluto ricordare, in questa occasione, la memoria del “dottor Dolcini”.

 

“Un testo semplice e lineare – ricorda il sen. Collina –, ma per la costruzione del quale il nostro Alteo dovette aprire una strada difficilissima di coordinamento tra Comuni distanti, di lotta ai campanilismi, di messa a punto di un iter complesso, stimolando costantemente i parlamentari romagnoli alla presentazione dei vari disegni di legge e mettendo in atto convegni, conferenze e quanto necessario, perché l'argomento non cadesse nel dimenticatoio: un lavoro lungo, complesso, certosino, durato quasi sedici anni”. “Una legge di nicchia per l’Italia – prosegue Stefano Collina –, ma importantissima per i 36 Comuni italiani oggi riconosciuti, attraverso tale legge, di “antica tradizione ceramica” e per gli artigiani ed artisti della nostra nobile arte: una legge che dovrebbe chiamarsi “legge Dolcini”, se non fosse che la paternità alle leggi è d’abitudine attribuita al parlamentare relatore e primo firmatario.”

 

Anche altre personalità romagnole ricordano Dolcini, a partire dal sindaco di Faenza Giovanni Malpezzi, il quale afferma che: “Oggi, finalmente, i nomi storici per la ceramica faentina di Alteo Dolcini e Giuseppe Liverani sono stati riavvicinati nel bene di una memoria che non si deve perdere, per ricordare che dall’instancabile e geniale lavoro di innovatori di ieri, derivano oggi risultati che rendono ancora importante nel mondo il nome di Faenza come capitale della ceramica.” Non è da meno Roberto Balzani, docente di storia contemporanea all’università di Bologna, il quale sottolinea come Dolcini, “attraverso il Palio del Niballo, il Tribunato, la battaglia per l’identificazione dei confini romagnoli e tante altre imprese, ebbe la capacità di calare il tema romagnolo nel vissuto di una società – quella degli anni Sessanta – in rapido mutamento. In alcuni casi riuscì ad intercettare sensibilità insospettate (si pensi al Palio, la tradizione inventata più importante della Romagna della seconda metà del Novecento), che gli permisero di radicare il suo disegno e di renderlo permanente; in altri, i progetti restarono patrimonio di élite. In ogni caso, tuttavia, Alteo Dolcini fu davvero una personalità eminente della sua regione, così come, all’inizio del XX secolo e sempre a Faenza, Gaetano Ballardini. Fra queste due vite si è giocato il destino e la fortuna di una città.” Aggiunge il giornalista e scrittore Vittorio Emiliani: “Credo che Alteo Dolcini sia stato negli anni il più grande, instancabile, fantasioso animatore della cultura che si rifà alle migliori tradizioni romagnole. Non c’era idea promozionale a favore della Romagna più autentica che non lo trovasse subito entusiasta. Va ricordato, con le parole, con gli studi, coi fatti. Nell'ultimo volume da me scritto, di prossima pubblicazione (Romagnoli & Romagnolacci) compare un ritratto a lui dedicato.” Il suo impegno è messo in evidenza anche da Antonio Patuelli, presidente dell’Abi: “Alteo Dolcini è stato innanzitutto un intellettuale con forte radicamento in Romagna e una ricerca di orizzonti culturali internazionali fortemente connessi alla cultura della solidarietà occidentale, molto caratteristica dei decenni innanzitutto della ricostruzione e del miracolo economico italiano. Dolcini ha sempre operato dal suo osservatorio privilegiato faentino, vissuto come un crocevia di poliedriche sensibilità culturali fra la Ravenna bizantina, la Firenze non solo letteraria e la Bologna universitaria degli anni più prosperi. I colori delle ceramiche faentine erano per lui – conclude Patuelli – solo un simbolo di pluralismi, di sensibilità culturali e di ricerca di occasioni di amicizia e di valorizzazione dei prodotti tipici della Romagna, a cominciare dall’agro-alimentare.