68° anniversario della Liberazione dell’Italia dal nazifascismo
FESTA DELLA LIBERAZIONE
68° anniversario della Liberazione dell’Italia dal nazifascismo
1945-2013
Autorità,
Rappresentanti del Comitato Antifascista,
delle Associazioni Partigiane,
delle Forze Armate,
della Croce Rossa Italiana,
delle Associazioni d’Arma e Combattentistiche,
Carissimi Concittadini,
buongiorno a tutti!
Celebriamo oggi il 68° anniversario della Liberazione dell’Italia, un’occasione fondamentale per riflettere sui valori che guidarono l’azione delle forze alleate e partigiane che, appunto 68 anni fa, restituirono la libertà al popolo Italiano e alla città di Faenza, dopo 23 anni di dittatura.
Giustizia, Libertà, Democrazia sono Valori ancora attuali, anche nel difficile momento economico, sociale e politico che stiamo vivendo. A questi valori vogliamo e dobbiamo far tutti riferimento per combattere l’attuale “guerra mondiale finanziaria”, un tema sul quale tornerò ampiamente nel prosieguo di questo intervento.
Ma prima di entrare nel merito dell’attuale guerra mondiale, non posso non partire dal 25 aprile del 1945, giorno in cui la nostra Italia tornava ad essere una nazione libera, certamente ferita nel profondo da una guerra lunga e dolorosa che nel nostro Paese aveva causato più di 450.000 morti, tra militari e civili, molte centinaia di migliaia di feriti e di sfollati, questi ultimi assai numerosi nel Faentino, anche a causa del passaggio del fronte, che alla nostra comunità è costato la perdita di oltre mille vittime civili.
Il sacrificio di quei nostri concittadini che hanno combattuto e sono morti per la libertà di Faenza e dell’Italia è presente e vivo nella memoria di tutti noi, come ha riconosciuto anche lo Stato italiano concedendo al Comune di Faenza la “Croce al Valor Militare”, nella quale si afferma che: se la nostra città “fu teatro di tragici eventi bellici che misero a dura prova la popolazione”, quella stessa città “seppe dimostrare in ogni circostanza il più fervido patriottismo recando un cospicuo contributo alla lotta partigiana malgrado le notevoli perdite subite in uomini e in materiali”.
Ecco, proprio dai valori che costituiscono “l’amor di patria” dei faentini e degli italiani, occorre ripartire per dare vita OGGI ad una nuova “Resistenza”, ad un nuovo rinnovamento civile della nostra società e delle sue istituzioni. Non possiamo più limitarci ad affermare di non vedere più – come avviene ormai da sessantotto anni – che la guerra insanguini il nostro Paese e le nostre città. Vogliamo e dobbiamo invece essere pronti ad affrontare la grave situazione attuale.
Accennavo poc’anzi al fatto che stiamo vivendo una nuova “guerra mondiale”, una guerra che se non è più combattuta con le armi da fuoco, lo è invece con le armi della finanza e dei mercati economici; una guerra che sta ugualmente provocando morti, feriti e sfollati in Italia, come in gran parte dell’Occidente, ma anche tra le popolazioni di molti Paesi poveri che vedono ancora nel nostro, così come negli altri Paesi dell’Unione Europea, un luogo per trovare una possibile risposta ai loro bisogni primari e desideri.
Pensate che io stia esagerando? Ascoltate allora qualche dato. La crisi economico-finanziaria iniziata negli Stati Uniti nel luglio 2007, ha comportato la perdita della casa e del lavoro per oltre 20 milioni di americani. Questa crisi si è estesa rapidamente nel 2008 in Europa, in Giappone e in quei Paesi in via di sviluppo che, senza o con poche risorse proprie, sono dipendenti dall’economia Occidentale. Questa crisi ha provocato e continua a provocare gravi conseguenze nei singoli Stati, nei rapporti tra gli stessi, e fra le diverse popolazioni.
Gli equilibri mondiali – in primo luogo, economici, sociali ed istituzionali – si stanno modificando radicalmente. Guardiamo al nostro Paese. Si tratta di un vero e proprio bollettino di guerra. 380 mila aziende chiuse nel 2012, con la perdita di oltre 1 milione di posti di lavoro. E senza dimenticare gli 850 mila posti perduti nel 2011 e la previsione, purtroppo, di perderne altri 650 mila quest’anno.
Nei primi tre mesi del 2013, sempre in Italia, hanno chiuso circa 100 aziende al giorno e tra gli imprenditori, uno di loro ogni due giorni si è ucciso, con un incremento dei suicidi pari al 40% rispetto al 2012.
Non parliamo poi della cassa integrazione: dal 2008 ad oggi lo Stato ne ha erogato 4 miliardi e 400 milioni di euro, una somma quasi equivalente all’Imu versata nel 2012. Soltanto lo scorso anno sono stati quasi 1 milione e mezzo i lavoratori che hanno beneficiato dell’intervento dello Stato. E occorrerebbero circa due miliardi di euro entro giugno, per evitare che la metà di questi lavoratori restino disoccupati a tutti gli effetti.
In Italia, purtroppo, i disoccupati effettivi sono oltre 3 milioni, con un tasso di disoccupazione generale pari al 12%, mentre quello giovanile sale al 38% circa, con punte fino al 50% circa nel sud Italia.
Ancora: gli italiani che ricevono una pensione inferiore ai 500 euro al mese sono ben 2 milioni e 400 mila, pari al 77% di tutti i pensionati. Come, a questo proposito, non ricordare - con sofferenza - i tre pensionati che si sono uccisi a Civitanova Marche 20 giorni fa.
Dunque, la crisi c’è e la respiriamo tutti, per cui è necessario approntare un nuovo movimento di “Resistenza”, che nasca tra di noi, tra noi italiani, anche perché non abbiamo più eserciti Alleati dalla nostra parte e sul nostro territorio, non abbiamo più un “Piano Marshall” che rilanci la nostra economia. Abbiamo solo – e con tanti limiti – l’ Unione Europea, di cui l’Italia è stata uno dei Paesi fondatori, un’Unione che ci sta evitando il peggio, grazie alla tenuta dell’Euro.
Questa “guerra finanziaria” ha comportato e comporta tanti morti e feriti. E non solo tra le persone anziane e tra i pensionati. E non solo per l’aumento dei lavoratori disoccupati e dei cassintegrati, che vivono al limite della sussistenza. Fra il milione di nuove famiglie povere censito nel 2012 dall’Istat, oltre 419 mila hanno entrambi gli adulti che la compongono che non lavorano e con uno o due figli da mantenere.
Poi ci sono gli imprenditori che non riescono a riscuotere i crediti del loro lavoro, o che si sono visti chiudere improvvisamente i “rubinetti” dalle banche. Perdendo fiducia nel futuro, sono costretti a chiudere la propria attività, oppure a svenderla, fino anche a togliersi la vita.
A questo proposito, consentitemi di rivolgere il mio pensiero e di formulare un caloroso augurio di piena guarigione al Sig. Zhou, l’artigiano cinese che qualche giorno fa, colto dalla disperazione, si è dato fuoco qui a Faenza.
In questo bollettino di guerra non possiamo dimenticare i tanti giovani senza prospettive di lavoro, che restano a carico dei genitori. Sono circa 650 mila in Italia, 200 mila dei quali laureati. Tra loro, ce n’è una parte che si è, come dire, “rassegnata”, arresa alla situazione; mentre una piccola parte è invece andata a cercare lavoro all’estero.
Negli ultimi sei anni, dall’inizio della crisi ad oggi, circa 1 milione di italiani è andato a lavorare in Paesi stranieri (in totale sono oltre 4.100.000 gli italiani residenti all’estero, quasi il 7,2% di quelli residenti in Italia). Pensate che ormai il totale degli italiani residenti all’Estero è pari al totale degli stranieri residenti in Italia !
Stiamo vivendo in una economia di guerra, anche a Faenza. E se, da un lato, ci sono tante aziende in crisi o che hanno chiuso i battenti, dall’altro ci sono anche le Istituzioni, che non hanno risorse sufficienti per effettuare interventi seppur ordinari. Un esempio visibile e simbolico di questa “economia di guerra” è il ponte Bailey posizionato un mese fa ai Monti Coralli (proprio come ai tempi della guerra). Per non parlare delle tante strade comunali, che sembrano quasi bombardate o dei tetti di non poche nostre scuole che hanno necessità di interventi rapidi e che costringono gruppi di studenti a sfollare temporaneamente in altri immobili.
Coesione sociale, corresponsabilità civile, sobrietà di vita, sono queste parole la declinazione attuale dei valori di Giustizia, Libertà e Democrazia per i quali 70 anni fa combatterono i nostri Padri.
Come ai tempi della Resistenza e della guerra di Liberazione, dobbiamo e vogliamo lavorare insieme, stringerci tutti attorno alle nostre Istituzioni. Oggi come allora, infatti, soltanto se staremo uniti riusciremo a superare questa vera e propria “Terza Guerra Mondiale”.
Parlando di unità e coesione, consentitemi in questa sede di esprimere pubblica deplorazione e rincrescimento per l’atto vandalico compiuto l’altra sera sul Lungofiume Amalia Fleischer, in cui è stato appiccato il fuoco ad una corona di alloro, danneggiando il Tempietto della Memoria, eretto in ricordo dei milioni di vittime dell’Olocausto. La stupidità umana non ha mai limite.
Carissimi, se vogliamo che la celebrazione di questo “25 aprile” non si riduca ad un rituale retorico, dobbiamo saper attualizzare i valori per i quali i nostri padri, i nostri concittadini e i soldati Alleati diedero la vita. Perché questa ricorrenza non perda il suo significato, dobbiamo ripartire da qui per rinsaldare, come ricordavo in apertura, l’amore per la nostra Patria.
Dobbiamo valorizzare le ragioni che ci uniscono, certamente senza dimenticare le differenze, ma smettendo di utilizzarle come strumento di lotta politica, di incitamento a quelle contrapposizioni che hanno lacerato negli ultimi vent’anni il nostro popolo, come ci ha ricordato pochi giorni fa il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, dando a tutti noi con il suo “schiaffo di padre” l’ennesima prova di grande responsabilità a cui siamo chiamati, affinché ci rimettiamo a lavorare insieme per il bene del nostro Paese.
Per questo mi piacerebbe davvero che l’anno prossimo, davanti a questo monumento, ci fossero tutte le forze politiche (anche quelle oggi assenti) e che si smettesse di vivere questa festa come una celebrazione di parte. Il 25 Aprile dovrà essere sempre più una festa di tutti gli Italiani, che riscoprendo i valori del passato, sono chiamati ad incarnarli nel presente e nel futuro.
Questa ricorrenza, dunque, resterà viva, se sapremo riscoprirne il perché, l’anima: rendere onore a coloro che sono morti per la nostra libertà non basta, se non continueremo, se non continuiamo noi, oggi, a combattere insieme per la nostra libertà e per quella delle nuove generazioni. Ma per farlo dobbiamo superare le fratture e le divisioni ideologiche, ognuno mettendo a disposizione il proprio contributo nel nome dell’unità del nostro popolo e della condivisione delle nostre tradizioni e culture, anzi traducendole concretamente nei valori di libertà e democrazia nella famiglia, nel lavoro, nella presenza sociale, nella solidarietà verso coloro che vivono circostanze di sofferenza e dolore.
“Non si può più, in nessun campo, - ci ricordava appena lunedì scorso il Presidente Napolitano – sottrarsi al dovere della proposta, alla ricerca della soluzione praticabile, alla decisione netta e tempestiva per le riforme di cui hanno bisogno improrogabile per sopravvivere e progredire la democrazia e la società italiana.”
Ecco, facciamo nostre queste parole, e prendiamo sempre più coscienza, come ci continua a rammentarci ancora una volta il Presidente Napolitano, di “quel che l’Italia e gli italiani hanno mostrato di essere in periodi cruciali del loro passato”, e delle “grandi riserve di risorse umane e morali, d’intelligenza e di lavoro di cui disponiamo”.
Viva il 25 Aprile! Viva Faenza! Viva l’Italia!
Grazie.