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Il medioevo e i Manfredi

Croce Blu

Rispuose adunque: "I' son frate Alberigo; / io son quel dalle frutta del mal orto, / che qui riprendo dattero per figo". / "Oh!" diss' io lui, "or se' tu ancor morto?". / Ed elli a me: "Come 'l mio corpo stea / nel mondo su, nulla scienza porto. (...)" (Dante, "Inferno", canto XXXIII).

Alberigo Manfredi, dell'ordine laico dei frati godenti, era un personaggio assai in vista a Faenza nell'ultimo scorcio del XIII secolo. Ed un suo gesto scellerato l'aveva reso famoso ben oltre le mura cittadine, tanto che Dante non sente nemmeno il bisogno di raccontare l'episodio. Così invece viene spiegato da Antonio Messeri in "Faenza nella storia e nell'arte" dello stesso Messeri e di Achille Calzi (1909):

Frate Alberico (...), in una grave disputa sorta per ragione d'interessi, s'ebbe uno schiaffo da Alberghetto, figlio di Manfredo Manfredi. Quest'ultimo era cugino di frate Alberico (...). (...) per l'onta ricevuta, Alberico concepì un odio mortale contro que' suoi congiunti, e covando in cuore la vendetta sotto mentite apparenze di perdono e di pace, invitò il 2 maggio del 1285 Manfredo ed Alberghetto ad un sontuoso pranzo (...). Su 'l finire del convito, quando frate Alberico pronunziò ad alta voce l'ordine "vengan le frutta", come a segno convenuto, Ugolino suo figlio, Francesco Manfredi [un altro cugino], Surruccio da Petrella, ed altri sei sicari, si lanciarono co' pugnali levati sui due miseri ospiti, e barbaramente li trucidarono.

Dante colloca Alberigo nel profondo della voragine infernale: il fiume ghiacciato Cocito, riservato ai traditori. E poiché nel 1300 (anno in cui si compie il viaggio nell'aldilà) il frate gaudente era ancora vivo, ecco un espediente per metterlo comunque all'inferno: in casi di eccezionale malvagità l'anima si danna prima del tempo, e nel corpo prende posto un diavolo.

Ma non è questo l'unico personaggio faentino a far "bella mostra" di sé nell'Inferno dantesco, c'è anche il ghibellino Tebaldello de' Zambrasi (che nel 1280 spalancò le porte della città ai guelfi bolognesi, tradendo la propria parte e provocando una sanguinosa battaglia), mentre l'intrepido e feroce condottiero Maghinardo Pagani da Susinana (nel 1300 signore di Faenza, Forlì e Imola) viene bollato per il suo opportunismo politico. La seconda metà del '200 fu del resto un periodo difficilissimo per tutta la Romagna, agitata da lotte feroci tra potenti famiglie guelfe e ghibelline. Faenza, in cui si alternavano le fortune dei Manfredi e dei Pagani, non faceva eccezione. Dopo lo splendore raggiunto in epoca romana (era stata fondata in riva al fiume Lamone nel secondo quarto del II sec. a.C. sul tracciato della via Emilia), la città aveva conosciuto un lungo periodo di decadenza. Soltanto alla fine dell'VIII secolo Faenza si era ricompattata entro una cerchia di mura, mentre di lì a poco sarebbero sorti nuovi edifici a carattere religioso, segno di una ritrovata unità spirituale e civica.

Le più antiche testimonianze medioevali pervenute sino a noi ci restituiscono l'immagine di una cittadina dapprima sotto l'egemonia feudale degli arcivescovi ravennati, poi lentamente affrancatasi come libero Comune. Ecco dunque la suggestiva cripta - realizzata tra l'VIII e il XIII secolo - della chiesa dei SS. Ippolito e Lorenzo: un recente intervento di scavo e bonifica a cura della soprintendenza ne ha valorizzato l'austera poesia in cui si mescolano materiali di recupero romani ed altomedievali.

Ma anche il campanile ottagono di S.Maria ad Nives (X-XI sec.) mostra inalterato il suo scabro fascino, così come lo avvertiva Campana nei già citati "Canti orfici": «in un balenìo enorme la torre, otticuspide rossa impenetrabile arida». Due piccole chiese, poi, conservano nell'insieme l'aspetto vetusto (a differenza delle precedenti, rinnovate secoli dopo): sono S.Bartolomeo, edificata tra l'XI e il XII secolo, e la chiesa di S.Maria Maddalena o della Commenda, fondata poco dopo il 1100 ma completata nelle forme attuali solo alla fine del secolo successivo. Quest'ultima si trova nel Borgo Durbecco, nucleo abitativo sorto dopo il 1000 sull'altra sponda del fiume.

Ed eccoci di nuovo ai tempi di Dante. A metà del '200, come si è visto, erano già stati costruiti i palazzi del Podestà e del Capitano del Popolo: entrambi, più volte rimaneggiati, conservano comunque importanti testimonianze delle loro origini. In campo figurativo, due sono le opere di grande pregio realizzate in quest'epoca e conservate in Pinacoteca: la Croce Dipinta del Maestro dei Crocifissi Blu (databile intorno al 1265 e proveniente dall'antico convento di S.Chiara) e la Madonna con Bambino e Santi di Giovanni da Rimini (inizio sec. XIV).