Il dialetto
A Faenza è in uso il dialetto romagnolo ma come ebbe a dire Friedrich Schürr, famoso glottologo austriaco che del dialetto romagnolo si era occupato con passione, "Non esiste un dialetto romagnolo ma una infinità di parlate romagnole digradanti di luogo in luogo, quali continue variazioni su un fondo comune".
Di fatto il romagnolo costituisce un patrimonio lessicale assai ampio, riconducibile a una area geografica che si è formata fra influenze varie, invasioni, contese e campanilismi esasperati. Tanto che il confronto può trasformarsi in un multiforme gioco del diverso su una radice comune.
Ma due sono, fondamentalmente, le influenze che si possono leggere, pur nella difformità delle espressioni: quella toscana e quella gallica (il dialetto della pianura è abbastanza vicino ai suoni francesi). Parlata ricca di consonanti, dove le vocali a volte compaiono nel minimo indispensabile per rendere pronunciabili le parole (scièn per cristiano, sgnòr per signore), il romagnolo deve questa caratteristica alla colonizzazione gallica, che già dalla fine del V secolo a.C., contribuì a creare in Romagna una base linguistica sostanzialmente omogenea.
Un altro degli elementi di spicco del romagnolo, anche questo di chiara matrice gallica, è la forte accentuazione che tronca le vocali finali (parsòt per prosciutto, candlòt per candelotto, piat per piatto). Gallicismi sono anche certi suoni nasali come vén per vino, pèn per pane.
Va sottolineato che il dialetto comunque ha avuto forme espressive tipiche, quali le zirudeli, canzoni e filastrocche che hanno costituito un vero e proprio genere espressivo. Il vigore e la salacità di certi modi dire, a volte sin troppo schietti per un orecchio suscettibile, fanno comunque del dialetto una componente fondamentale di quel carattere gioviale e aperto che è la caratteristica riconosciuta della "romagnolità".